TL:DR: sono un tipo normale
TL:DR; sono un tipo normale. Non volevo fare la solita bio di Linkedin, e vi racconto un po’ di fatti miei. Non è niente di che, sappiatelo. Se non piove, potreste anche chiudere qui la pagina e andarvi a fare un giro.
ER PIPPONE NON LINKEDIN
È il 9 maggio 2025 e sono le 22.38, sono nella mia camera in Brick Lane, Londra, e sono qui per lavoro. Se siete arrivati qua tramite il libro vi chiederete “ma questo sta sempre in giro?”. Sì, certo che giro sempre, vivere a Udine è bello ma devo muovermi o mi crescono i licheni sulla faccia. Sono qui per lavoro, una convention: ero in un grattacielo luccicante a Canary Wharf, e stanotte dormo in una camera con bagno in comune in un quartiere a maggioranza bangla. Perfecly fine with me: ma alle 22.40 molti posti sono già chiusi, ed è bizzarro se me lo chiedete. Siamo nel cuore di Londra, non a Pagnacco dove vivo. Magari la vita notturna è altrove, ma domani ho l’aereo, e a 54 anni sono abbastanza grande da poter scegliere che se la nightlife non mi va di farla non mi parte la FOMO.
Poi sento un po’ di tensione in giro in città, la trovo incupita: meglio volare basso.
Parte il pippone: pronti?
Ho un destino strabico: mi riescono bene le cose che non volevo fare, le mie ragioni di vita le fallisco miseramente. Volevo fare il musicista per vivere e mentre lo facevo ero una specie di rockstar nel mio mestiere, il web designer; volevo essere sposato, con figli e fare famiglia, e sono divorziato, i figli non sono venuti e sono sempre in giro per il mondo. Qualcuno mi chiama lo stesso fortunato. No, mi chiamo Fulvio, invece, un nome che non mi è mai piaciuto finché non è diventato Fulvioromanin™, tuttattaccato, come Silvioberlusconi™. Una persona altra rispetto al vecchio me, che mi sono immaginato come una specie di gentiluomo di mezza età della serenissima repubblica di Venezia, educato, affabile, non senza una vena di ironia e scurrilità, finché non lo sono diventato davvero, chissà.
Parlare di sé stessi in terza persona, fare la propria biografia è una forma di costipazione: ho chiesto a ChatGPT e mi ha eretto un monumento, e sui monumenti sappiamo cosa ci fanno i piccioni. Da bambino odiavo scrivere, facevo fatica, ma forse era la penna che mi pesava in mano. Ma mi piace parlare, sono un affabulatore, e se leggete i miei libri mi sentirete parlare: parlo così anche nella vita, niente è improvvisato. Mi piace cesellare le parole pesandole con la bilancia da spaccino, con certosina attenzione: una parola vuole dire solo ed una cosa solamente in maniera perfetta, e io ti stano, cazzo. È stato mio padre ad insegnarmi a scrivere, a darmi il ritmo, si è messo lì con pazienza e mi ha insegnato che la frase andava continuata, virgola, e poi ci metti una chiusa finale.
Se la mia vita fosse un videogioco, questi sarebbero i vari livelli
1971 – 1982 / Once upon a time in Monte Mario
Nasco a Roma, 11 marzo 1971, quartiere Monte Mario, piazza Guadalupe: in un quartiere popolare e popolano, pieno di bambini dalla pelle con i colori del centro e del sud italia io sono friulano, con la pelle chiarissima, i capelli biondi e l’erre moscia, e la seconda parola che imparo a pronunciare dopo mamma è bullismo, è inevitabile. Non è razzismo al contrario, no: sono solo molto visibile, proprio spicco visivamente. Mi diagnosticano la celiachia, e fino ai dodici anni non posso mangiare farinacei, sono il bambino più basso della classe e sto sempre male. E ogni volta che esco in strada le prendo. Una volta vengo ricoverato persino a Genova al Gaslini, per un mese di fila. Mi fanno un prelievo dalle dita ogni quindici minuti: ho fatto così tanti prelievi che mi potevano chiamare direttamente Bancomat all’anagrafe. Un po’ tanto per un bambino esile. Mia madre passa tutto il tempo che può accanto a me ad accudirmi e farmi studiare. Mio padre lavora e si prende cura di entrambi. Poi un giorno qualunque, a dodici anni, mi ricoverano per salmonella e il medico fa “ma perché questo lo nutrite da celiaco?” “perché è celiaco” “ma mmanco pe’gnente” e, quando mi passano il pane per la prima volta lo annuso come se fosse un rito religioso. Sono guarito dalla celiachia? Non credo: forse negli anni ’70 la scienza non era ancora così precisa nelle diagnosi: chissà. Intanto quell’anno prendo ventisette centimetri di altezza: se mi avessi messo le orecchie sulle ossa le avresti potute sentire allungarsi mentre dormivo. La mia prima reincarnazione finisce qui: sono un bambino intelligente ma timido e forse un po’ saccente e menoso.
1982 – 1991 / Prima reincarnazione, secondo inferno
Vado alle superiori ed è la prima reincarnazione, il secondo round di bullismo è ancora più violento del primo: quando il bello della classe, brillante, desiderato da tutte le ragazzine ti mena, tu ti senti sbagliato e già l’adolescenza è una merda, e figurati la mia com’è. Apre in TV questo canale che si chiama Videomusic e io mi ci annullo, la guardo per ore finché mio padre non la toglie dal telecomando e io imparo a craccarlo e me la vedo lo stesso. Compro un disco di questo tipo con i capelli arancioni, il disco si chiama Album, dei Pil, e quando metto la puntina parte BA BA BAAAM BA BA BAAAM BA BAAAM io penso in sequenza CAZZO È METAL / CAZZO CHE FIGATA / CAZZO VOGLIO FARE QUESTO DA GRANDE / MIO PADRE NON DEVE SAPERLO. Sono fottuto: l’adolescente che va bene a scuola e che già usa i computer da cinque anni si innamora della musica, prende una chitarra, poi una seconda e fa suoni che sembrano filo spinato, tanto i belli della classe non lo vogliono nella band e a me Hotel California per mia fortuna mi fa cagare male.
Sopravvivo alle superiori mangiando pane e sangue – il mio – per cinque anni, e mi iscrivo alla Sapienza, biologia, a due ore di mezzi da Guadalupe. Vado bene, e il terzo giorno di università guarisco dalla timidezza perché so di fare cagare ma penso “magari io mi faccio cagare ma agli altri no, magari non lo sanno”. Due giorni dopo ho 75 numeri di telefono di ragazze: non ne chiamerò mai uno ma è ok, missione compiuta. E scopro che essere estroverso, nella mia maniera lunatica e forse neurodivergente mi piace un sacco. L’università è proprio bella, e conoscere le donne è dolcissimo.
Una domenica il mio amato padre mi chiede di andare a fare due passi; mentre camminiamo in una periferia sonnolenta per più di un’ora mi dice che lui e mamma hanno deciso che non vogliono invecchiare a Roma ma tornare in Friuli ed io annuisco: peccato, stavo bene ora. No, prima che ve lo chiediate: non sarei potuto restare da solo lì. Anni dopo, a Milano, vedrò dei vecchini affacciati a una ringhiera guardare un gorgo di lamiere e ottani scorrere eterno sotto di loro e capirò che hanno fatto bene.
È l’11/11/1991 quando prendo il treno e parto direzione Università di Trieste. I miei amici mi salutano in stazione. Spoiler: sono ancora tutti parte della mia vita. Qui finisce la mia prima reincarnazione.
1992 – 2001 / Seconda reincarnazione: Trieste ed Udine
Perché la seconda inizia con il vento gelido della bora di Trieste, che nel 1991 sembra Danzica durante la guerra fredda. Grigia, spoglia, priva di vita, popolata da fantasmi alteri, con i quali non riesco, pure da estroverso quale sono, ad imbastire il minimo rapporto umano: me la batto verso Udine, facendo avanti ed indietro – ci sto meno di Sapienza-Guadalupe – aggrappandomi disperato ai miei compaesani della montagna che qui studiano e cercando di integrarmi in una realtà di discoteche-bestiame dove divertirsi = bere. Mi aggrappo ai miei amici lontani tramite questa cosa che si chiama Internet – io già giravo su Itapac, ma sono il terzo cliente di un’azienda udinese che vende connessioni, per ora solo FTP (“perché questa cosa chiamata www non so se mi interessa”, ottima, Romanin!). Continuo a suonare per sopravvivere, fondo un paio di band senza successo, e nel frattempo divento uno dei primi quindici musicisti su Amiga al mondo ad avere una directory per autore: highest lifetime achievement. Il mio destino strabico mi colpisce ancora: a Udine non mi conosce anima viva ma ho una crew internazionale di drum and bass, i Jointmen, che nella sua nicchia se la ricordano ancora oggi.
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che è l’età più bella della vita“. Sono un bietolone allo sbando, e quella che gli altri chiamano la mia giovinezza scompare in un gorgo di solitudine e di silenzio.
L’università di Trieste fa schifo, e a un certo punto mi fa il gioco delle tre carte, e mi costringe a cambiare a Scienze Naturali. Chiaro che non me ne frega più nulla e la faccio per papà e mamma: intanto suono, intanto smanetto con il computer. Tenete d’occhio il computer perché dopo torna. È il 1995 quando fallisco per la sesta volta Fisiologia II e non ho abbastanza esami per rinviare il militare. Il pizzaiolo con il quale lavoro per contribuire economicamente ai miei studi mi dice “fai l’obiettore di coscienza” e finisco, per un miracolo, seriamente un miracolo, a Radio Onde Furlane, a fare il deejay invece del militare. A casa con i miei parlavo friulano e tanto basta per entrare a fare parte di questo mondo alternativo che con me si rivelerà caldissimo e generoso. Dopo un mese fanno un concorso per il migliore musicista friulano e io porto una canzone che è un ibrido tra i Backstreet Boys e i Faith No More, fatta con l’Amiga e registrata buona la prima: divertente e al limite sud (qualitativo) dell’inascoltabile. In un contesto di folkettoni incupiti la giuria decide di farmi vincere come provocazione, tra le polemiche. Io nel frattempo ho una band metal, gli sfortunatissimi Slavestar, e comincio a produrre questi ragazzini, i Dlh Posse, che sono una marea e divertentissimi. L’hiphop, che già conoscevo ed apprezzavo, mi entra nel sangue: è hip hop instes, hip hop lo stesso, in friulano, una roba autarchica ed agreste che a volte funziona e a volte meno ma è genuina. La vittoria del Premi Friul mi vale la pubblicazione del mio primo Album, Technotitlàn, con i Madrac, forse la cosa più inconsueta mai uscita dalla musica par furlan, con 27 musicisti, che ha un ottimo successo di critica ma non così di pubblico. A loro discolpa: sono un buon produttore, ma sul palco sono tremendo. Non è che non sappia cantare, anzi, ma sul palco ho il carisma di un boiler durante un terremoto. Gli anni salgono sul contatore, ne ho ventinove e non so come ci sono arrivato: c’è gente che è già padre alla mia età e io sono uno sbarbato nel cervello. Un giorno arriva da me il mio vicino Max Cher, un nome da stilista, che fa ingegneria (una facoltà vera, lui) e, lui che è astemio, porta con sé una bottiglia. “Brindiamo?” “Ovvio, a cosa?” “Ho finito gli esami”.
Si dice che quando muori ti passi tutta la vita davanti ma a me sono passati davanti solo tutti i santi in ordinata processione tenendo in mano la loro data del calendario. No, no, no, no e poi no. Col cazzo. Qui è ora di darsi da fare: mi gira potentemente il cazzo e dò sette esami più la tesi in sei mesi. Sono il primo dell’università di Trieste a portare la tesi su CDROM, da quello che ne so. Mi danno zero punti di tesi: hanno fatto bene, ero uno studente ribelle che rispondeva ai professori quando provavano a fare i baroni sulla mia pelle. Mi laureo due mesi dopo Max. Sono a 79kg, il mio peso più basso da adulto.
2002 – 2011 / Terza reincarnazione: play that funky music
La mia terza reincarnazione è anticipata dal suono di un campanello – un altro vicino di casa mi suona alla porta: “Fulvio, tu sai fare siti internet?” “Ehm, so cos’è l’html, ma” “Ti dò due milioni di lire” “SONO BRAVISSIMO”.
Non ho nessun rudimento di grafica formale ma gli imbastisco una cosa tremenda, che lui mi paga sull’unghia. Apro partita IVA, 26 settembre 2000. Non ho nemmeno idea di cosa voglia dire IVA. Quelli come me li chiamano Nerd, boh, un soprannome in più o uno in meno non mi cambia la vita. Tramite un deejay di Onde Furlane conosco il Rototom Sunsplash Festival di Osoppo, il più grande festival reggae europeo. Il primo anno gli rifaccio il sito, ci faccio un bancale di soldi e ci vado a New York al Flashforward festival 2002, a studiare. Nel frattempo mi offrono un lavoro come dipendente, 1800 euro al mese (…nel 2002…) e dopo tre mesi capisco che non fa per me. Peccato: sarebbero tuttora soldi buoni. E mentre la musica continua ad andare avanti a pezzi e bocconi, vincendo qualche piccolo premio e facendo qualche bel concerto, arriva l’Era Dei Festival, che per i successivi sette anni caratterizzerà la mia vita. Sono il migliore webmaster del mondo dal punto di vista tecnico? No, tutt’altro, ma sono creativo e curioso e soprattutto so comunicare. È il primo di una quindicina di festival musicali dei quali diventerò il webmaster unico, che esce di casa a giugno e torna a settembre, in tour come il musicista che dovrei essere. Ma sono sveglio nel trovare contatti, e presto nella mia testa si comincia a consolidare l’idea che sono stanco di andare a Milano a pregare buon tempo e benevolenza da discografici ai quali della musica in friulano – anche prevedibilmente – non importa nulla. E, mentre mi divido tra corsi come professore di web allo IED Venezia, il Festival of Festivals a Bologna e l’Università di Udine, imbastisco quella che per cinque anni abbondanti sarà lo scopo della mia vita: la mia etichetta discografica, ReddArmy, distribuita nazionalmente e che passa occasionalmente in tv, che annovera nel suo roster illustri e fiammeggianti sconosciuti da tutta italia. I bellunesi Maci’s Mobile, veri eroi in patria con i quali mi invento belle iniziative virali, i mirabolanti ed eccentrici Smania Uagliuns, dalla basilicata, il bellunese Mole, del quale produco un tot di album ed addiritttura giro un video stravagante, e i local heroes friulani Carnicats, gli unici ad avere un esito numericamente rilevante perché, oltre alla bravura, hanno anche quella mentalità imprenditoriale che a me, almeno nella musica, manca di brutto. Udine è in un periodo d’oro, con concerti enormi e tantissima musica. E mentre ReddArmy è al suo picco, negli anni 2009-2011, io sono un rottame dallo stress, e arrivo a pesare 118kg, trenta chili più della mia laurea. Il primo gennaio 2010 mi sveglio da un capodanno a casa di Mole con la schiena bloccata: la sua donna, Lara, mi sale sulla schiena per farmi un massaggio per rimettermi in piedi e me le canta di santa ragione come non mi succedeva da quando avevo sei anni, a base di “è ora che tu la smetta di trattarti male e ti rimetta in forma” (la seguente affermazione è garbatamente tradotta da una ben più colorita espressione in bellunese, ndFu). Mi metto sotto e perdo venticinque chili: la mia terza reincarnazione è alla parte alta della parabola, ma gli scricchiolii sono intensi, e persino io che faccio orecchie da mercante non posso non sentirli. Sono chiuso in cantina da due anni e mezzo e, con i miei compari dei Madrac, lavoriamo al faticoso terzo album, stavolta in italiano, e ci sono tutti, e dico tutti, i segnali che il disco che ReddArmy è nata per spingere sarà un fallimento clamoroso, ma io non ascolto nessuno, vado dritto per la mia strada, assumendo al mio posto un cantante di razza cover band, che poco si amalgama con noi. Gli scricchiolii sono anche nel mondo dei festival: lo scenario generale sta mutando con una rapidità enorme, e se nel 2009 gestisco una quindicina di festival, nel 2010 ne gestisco solo uno. Qui, ad esempio, gli scricchiolii li avevo sentiti eccome, e già mi ero spostato a cercare altri lavori. Quando il 7 febbraio 2011 “L’esercito del sole” dei Madrac esce, in anteprima su XL di Repubblica, con il singolo con video con Caparezza, è lo zenit della mia produzione, ed il nadir insieme. Perché il video – una pazzia da due persone per un mese di lavori di lavoro in After Effects – non trova spazio nei canali tv, perché il disco – nonostante le recensioni lusinghiere – non passa neanche sulle radio. Il mio galeone si inabissa appena uscito dal porto, in una strage come il Vasa, e io mi trovo con un garage pieno di CD e il cantante che se l’è filata alla chetichella senza neanche una spiegazione. La “Stones Throw italiana”, come è stata lusinghieramente definita ReddArmy, comincia un processo di sfaldamento progressivo: dopo cinque anni di ottimi successi di critica, non ha prodotto un’economia, ed io per primo, che ormai ho l’età degli uomini della SIAE ai concerti più che quella dei musicisti sul palco, sono demotivato e stanco. L’insuccesso era prevedibile, ma il mio destino strabico mi ha fatto creare un serbatoio di contatti clamoroso che mi tornerà utile di nuovo e che mi aprirà altre porte. La mia terza reincarnazione finisce “not with a bang but with a whimper” – un decennio senza dubbio divertente e coloratissimo come mai nel resto della mia vita fino ad allora, ma senza il lieto fine atteso.
2012 – 2023 / Quarta reincarnazione: my life as an adult

La quarta reincarnazione, paradossalmente, inizia grazie a Facebook. Quando, in lapponia nel 2007, vidi che dal simpatico social americano si poteva chattare, mi aprii l’account e incominciai ad intessere relazioni. Da tre di queste chat compariranno tre persone che saranno fondamentali negli anni a venire. La prima è questo ragazzino petulante di sedici anni, che è ammirato dalla musica che fa l’etichetta al punto di farsi autografare lo zaino alla prima volta che ci conosciamo: è bizzarro ma intelligente, e, nell’estate del 2012 gli dico “senti, invece di stare lì a cinquantarmela, vieni una settimana a studiare WordPress con me”. Dopo dieci anni ho infatti abbandonato l’ottimo gestionale tedesco con il quale ho realizzato tutto in precedenza e il petulante ragazzino, che si chiama Giulio Pecorella, studia codice a scuola. È bravo: ha quello che chiamo il “friccicore nerd”.
La seconda finestra di chat che si apre è con una ragazza molto più giovane di me che avevo conosciuto al Sunsplash, Beatrice. È bella, e da subito sento una forte sintonia con lei. Ve la sto cinquantando: mi innamoro perdutamente, e a quanto pare lei ricambia. Dopo neanche un anno viviamo insieme.
La terza finestra è questo tipo simpatico che avevo conosciuto in Radio, Christian, che mi scrive così, a caso, “potrei avere bisogno di un sito: ci sentiamo?”
L’amico di cui sopra – che avevo perso di vista per almeno dieci anni – è diventato un pezzo grosso, ed è il direttore di Moroso, una azienda-monstre di fama internazionale. Io sono tipo perplesso e lusingato: sono sicuro delle mie competenze, e, anche trovandomi di fronte aziende milanesi a competere contro di me, mi porto a casa il risultato, ghiotto non solo dal punto di vista dell’immagine, ma anche perché è il primo sito retainer che mi permette di fare progetti, e di uscire fuori dall’alveo di imprese nei cui uffici stavamo crescendo. Si dice che il primo amore non si scordi mai, e prenda neurologicamente un posto irripetibile nel tuo cervello: ed è per questo che quando creo Ensoul, nel 2014, insieme a Giulio, prima come SAS e poi come SRL, ogni tanto mi ritrovo a chiamarla ReddArmy. Ma – anche se in maniera ancora molto maldestra e da freelance pasticcione – Ensoul nasce come realtà votata al profitto. Ci vorranno anni, un lustro buono prima che io capisca bene come rendere questa attività veramente profittevole. Sono ancora un freelance nella testa, e non posso certo chiedere ispirazione al giovanissimo Giulio. È la gente che viene da me, a chiedere consigli, invece: è nell’estate del 2012 che Laura prima, e Lucio poi, vengono a chiedermi “ma è difficile mettersi in partita IVA?”. Beh, sì, ma anche no, dico loro. E in una settimana di vacanza dalla mia sorella non genetica Susanna, butto giù questo testo che chiamo singolarmente “L’IVA Funesta”: venticinque pagine di consigli per i freelance, redatti in maniera genuina quanto amateurish, “impaginati in bella” (o quasi). Ne parlo – non ricordo nemmeno perché – a Rido, amabilissimo veejay che avevo incrociato all’epoca di ReddArmy e lui “bro, ma figata! ti va se lo facciamo uscire su Rolling Stone Italia?”. Annuisco, e sono sorpreso quando con duemila download diventa virale. Non sono pronto a gestire la cosa, e ne traggo una qualche altra popolarità ma non grandi benefici economici. Chiudo la mia carriera da freelance con un anno dove fatturo – non senza un primo aiuto di Giulio – quasi 70mila euro, con la partita IVA “al massimo della pena”, non forfettario. Tenete gli occhi su questa cifra, perché tra poco torna. Ensoul prende forma, e al lancio provo a propormi con ambizioni sofisticate, ma, di nuovo, non sono ancora pronto ad un’azione commerciale sul territorio che abbia un inizio ed una fine. Sfrutto molto bene i miei contatti, e faccio lavori per grosse realtà, restando una azienda molto molto piccola per quanto pucciosa e che sperimenta con il VR. Intanto un giorno mi chiama il commercialista, e sono vicino alla macchinetta del caffè in ufficio. “Uè, sono arrivate le tasse” “ah, ho fatto il conto sui 5000, giusto?” “No, sono 25000”.
Ci metto un minuto a capire la cifra.
In quello specifico, preciso momento, a 43 anni, capisco che con i soldi non si gioca e non si fanno i ragazzini e comincio a gestire la mia economia con più intelligenza, mentre, rata dopo rata, continuo a risalire la china. L’IVA funesta riappare in una versione aggiornata e quattro volte più grande, sempre scaricabile, nel 2015, dalle colonne di Wired Italia, ed ottiene un successo ancora più importante, e mentre io mi diverto a fare iniziative virali di ottimo esito e faccio crescere (maldestramente) Ensoul, vedo scomparire uno dopo l’altro i membri della mia famiglia, in maniera rocambolesca e tragica; prima mia madre Elena Vittoria, poi una serie di altri parenti più o meno lontani, e nel 2017, appena un anno dopo il mio matrimonio con Beatrice, mio padre Roberto, e mio suocero Walter. Sono anni tremendi, tritacarne, e mi rimetto a scrivere per manenere mentalmente il timone. La terza edizione dell’IVA Funesta è un tomo poderoso, e un mio contatto mi dice “ma perché non lo giri ad un agente e vedi cosa succede?”. “Ha ha”, penso io, e lo giro a Silvia Meucci, agente, che dopo una settimana si ripresenta con un contratto nientemeno con la UTET. Stiamo parlando di quella stessa casa editrice le cui enciclopedie sfogliavo, da bambino. Passo sui giornali, passo in radio a Caterpillar, e il libro va bene, benissimo, più di tremila copie vendute in un mercato aspro e arido come quello italiano e – secondo highest lifetime achieviement – vengo venduto perfino negli autogrill accanto ai Camogli. Wired è così carina da invitarmi come ospite al Wired Next Festival.
Ma la quarta reincarnazione sta per volgere al termine e nessuno di noi lo sa: lo spartiacque è quando, in occasione del mio quarantanovesimo compleanno, Conte chiude il paese per scongiurare la pandemia da COVID-19. È uno smottamento epocale, grosso come una guerra, e che ha delle conseguenze enormi, gigantesche. Una delle quali è che – NON SO COME MAI – la gente si rende conto che questa cosa chiamata Internet è utile. Ah mannaggia, vedi. E il nostro lavoro esplode: in due anni passiamo da due più tre freelance a quasi quindici a staff pieno. È un periodo di crescita vertiginosa nella quale comincio DAVVERO a studiare come si fa impresa, come si organizzano i gruppi di lavoro, come si gestiscono i progetti bene, e come rendere la mia azienda un posto UMANO, scevro da puttanate di felicità aziendali di cartapesta ma dove le persone siano realizzate e felici, investendo quantità importanti delle nostre (non ancora enormi) palanche in studio e formazione. Iniziamo a lavorare con Shopify, che è un mercato in fortissima crescita, e io passo le notti a studiare. L’altro smottamento, purtroppo, è la fine del matrimonio con Beatrice: siamo senza figli, è una storia senza cattivi; probabilmente il divorzio più civile della storia della giurisprudenza Italiana. Il che non vuol dire che non faccia male: cazzo, se fa male. Ho qualche cugino, affettuoso ma lontano, certo, e pure con una forte rete sociale di fatto mi ritrovo da solo a 50 anni.
Prima che pensiate che io stia per suonare il violino più piccolo del mondo in una ciaccona patetica da operetta vorrei dirvi che no, riadattarmi a questa nuova condizione è molto difficile, ma la vivo senza sceneggiate. Ed è quando Giulio mi prende, insolitamente, di petto in ufficio e mi dice “Fu, non stai pensando di gestire questa cosa da solo come il tuo solito, VERO?” che ha inizio la mia quinta ed attuale reincarnazione.
2024 – Oggi / My Galavant life
Di questa non è che so dirvi ancora molto, è ancora in essere ed in continua trasformazione. Non sembra male. La terapista, quando poi ci sono andato, mi ha detto con un sorriso che “devo trovarmi nuove abitudini” e io penso “sport”, e passo da 108 a 84kg (sono il re della fisarmonica, raga: dovrebbero erigere un museo di mie smagliature sui fianchi, altro che Lucio Fontana). So di non avere gusto, e mi prendo una consulente di immagine per non vestire come il mago Galbusera. E viaggio, viaggio tantissimo, viaggio come se fare contatti fosse la ragione della mia vita, andando a tutte le conferenze e cominciando a ragionare da imprenditore, finalmente. E dal 2021 al 2024 raddoppio – e più – il fatturato, ancora molto lontano dall’essere un capo di industria. Ma Ensoul è molto apprezzata e, anche se i premi che vinciamo sono ancora pochi, la nostra solidità è gradita ad un pubblico sempre più sofisticato.
E insomma, qualche tempo dopo la separazione inciampo su una persona che, tra le altre cose belle che mi dice, è che vuole aprire azienda e vorrebbe avere la mia esperienza e non saprebbe nemmeno cominciare. Ora quella persona, alla quale sono tremendamente debitore nonostante tutto, non fa più parte della mia vita. Ed io ero spaventatissimo all’idea di scrivere un libro sull’impresa, perché tutto sommato è un mondo muscolare dominato da cifre e diagrammi e imprenditori egoriferiti pronti a mettermi UNO su Amazon PERCHÈ LORO FANNO DIVERSAMENTE, LORO FANNO MEGLIOH. E lì non è che posso dirti cotica: io non sono uno che fa i soldi veri. La sorpresa straordinaria è – tieniti forte, bro – che non me ne frega nulla. Veramente. Non mi sveglio la mattina con quel pensiero in testa: i soldi sono carini e pucciosi, intendiamoci bene, ma sono potenzialità. Il benessere dei soldi dovrebbe essere garantire quello che gli inglesi chiamano wellbeing, stare bene, non il profitto fine a me stesso. Cazzomene di triplicare il fatturato se poi sto male. Ma ciao e grazie.
Non è il paradiso, ma Ensoul è come l’abbiamo sognata: un posto inclusivo, senza puttanate, senza WhatsApp con URGENTEH, senza pregiudizi. Ho avuto una persona non binaria in stage ed ha apprezzato moltissimo che quando ho dovuto fargli la sua (ottima) valutazione per l’università sia riuscito a farla senza pronomi. Un posto dove vieni giudicato solo per la qualità del tuo codice. Poi la vita è un casino, raga, e il mondo ed il maelstrom girano vorticosi, e a volte ci schiacciano, e altre volte ci mettono al sole.
Non ho grandi aspettative sulla Piccola Impresa, il libro che vi ha portato qui: mi piacerebbe passare un’etica del lavoro serena, una maniera di stare bene, non trucchi per fare più soldi che quello ci sono altri che lo fanno meglio e stanno bene così.
Se l’avete letta e siete stete bene, vi dico grazie io. Se non l’avete letta, magari date una sbirciata. In ogni caso se siete arrivate in fondo a questo pippone terrificante, vi sono debitore lo stesso.
Ho un destino strabico, certo, ma gli sono grato.
Gioie e dolori, tutto insieme, je ne regrette rien, grazie per singolo, normalissimo giorno